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Il diario di Anna Frank è autentico? [l’originale
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Il diario di Anna Frank è autentico? di Robert Faurisson 30 agosto 19781. “Il diario di Anna Frank è autentico?” Questa domanda ha fatto parte per due anni del programma di studi del corso di Critica testuale e dei documenti, un seminario riservato agli studenti del quarto anno già in possesso di un diploma di licence. 2. “Il diario di Anna Frank è un falso.” Questa è la conclusione dei miei studi e delle mie ricerche e questo è il titolo del libro che pubblicherò. 3. Per indagare la questione posta da tale domanda e rispondervi, ho sviluppato il seguente lavoro d’indagine:
5. Prendiamo, per esempio, la questione dei rumori; c’è un punto in cui viene detto che se tossivano doveva assumere rapidamente la codeina potevano essere uditi dai “nemici”, talmente “sottili” erano le pareti (25 marzo 1943). Quei “nemici” erano molto numerosi: Lewin, che “conosce bene tutto l’edificio” (1 ottobre 1942), i magazzinieri, i clienti, i garzoni, il postino, la donna della pulizia, il guardiano notturno Slagter, gli idraulici, il personale del “servizio sanitario,” il ragioniere, la polizia che moltiplica le perquisizioni, i vicini di casa, vicini o lontani che fossero, il proprietario, ecc. È pertanto inverosimile e al tempo stesso inconcepibile che la signora Van Daan avesse l’abitudine di passare l’aspirapolvere ogni giorno alle 12:30 (5 agosto 1943); si tenga presente inoltre che gli aspirapolvere di quell’epoca erano particolarmente rumorosi. Chiedo: “Come è pensabile che possa essere vero?” La mia domanda non è di pura forma; non è retorica; non è una manifestazione di stupore. La mia domanda è una domanda e come tale esige una risposta. A questa domanda potrebbero seguirne altre quaranta riguardanti i rumori. Bisogna, per esempio, spiegare come fosse possibile che venisse usato uno svegliarino (4 agosto 1943); è necessario spiegare come fosse possibile che si eseguissero rumorosi lavori di carpenteria, quali la rimozione della scaletta di legno, la trasformazione di una porta in uno scaffale girevole (21 agosto 1942), la realizzazione di un candelabro di legno (7 dicembre 1942). Peter spacca la legna nella soffitta con la finestra aperta (23 febbraio 1944). Quei lavori riguardavano la costruzione, con la legna che c’era nella soffitta, di “qualche scaffaletto e altre graziose carabattole” (11 luglio 1942) e perfino la sistemazione in soffitta di... “un angolino” dove il dentista potesse lavorare tranquillamente (13 luglio 1943). Viene prodotto rumore quasi costantemente dalla radio, dallo sbattere le porte, da una “fragorosa risata” (6 dicembre 1943), dalle discussioni, dalle urla, da un “fracasso da giudizio universale” (9 novembre 1942). “Seguì un gran baccano (...) mi torcevo dal ridere” (10 maggio 1944). L’episodio riportato in data 2 settembre 1942 è inconciliabile con la necessità di rimanere in silenzio e discreti; per l’occasione ci viene descritta una cena tra coloro che si nascondevano. Cianciano allegramente, quando all’improvviso un fischio penetrante giunse loro; udirono poi la voce di Peter che gridava nel tubo della stufa: “Sotto, non ci vengo proprio, sappiatelo!” Il signor Van Daan balza in piedi, lasciando cadere il tovagliolo per terra, e tutto rosso in viso grida: “Ora basta!” Salì in soffitta e lì, colpi e battito di piedi. L’episodio riportato in data 10 dicembre 1942 è simile. Ci viene descritta la signora Van Daan curata dal dentista Dussel, il quale comincia a raschiarle un buchino [nel dente]. La signora inizia a “urlare” in modo incoerente [con lo strumento in bocca] e cerca di togliersi il raschietto. Il dentista guarda la scena con le mani sui fianchi; gli altri spettatori “ridono smodatamente.” Anna, invece di mostrare il minimo segno di disagio di fronte a queste grida e alle risate scomposte, dichiara: “Molto villani; perché io, certamente, avrei strillato ancor più forte.” 6. Potrei ripetere queste osservazioni che ho appena fatto in materia di rumori a proposito di tutti gli aspetti delle realtà della vita fisica e morale. Il diario di Anna Frank presenta perfino la particolarità di non descrivere un aspetto di una vita vissuta che non sia inverosimile, incoerente, o assurda. I Frank, al momento dell’arrivo nel nascondiglio, mettono alcune tendine per nascondere la propria presenza, ma munire di tendine finestre che fino ad allora non le avevano non è forse il modo migliore per attirare l’attenzione al proprio arrivo? Non è forse singolare che quelle tendine fossero fatte di teli [trasparenti], “del tutto diversi per forma, qualità e disegno” (11 luglio 1942)? Per non tradire la loro presenza, i Frank bruciavano i rifiuti. Così facendo però avrebbero richiamato l’attenzione sulla loro presenza per via del fumo che sarebbe fuoriuscito dal tetto di un edificio che sarebbe dovuto essere disabitato! Accesero per la prima volta la stufa il 30 ottobre 1942 (lettera del 29 ottobre 1942: “Domani”) benché fossero giunti in quel luogo il 6 luglio. Ci si chiede che cosa mai abbiano fatto dei rifiuti durante l’estate per 116 giorni. Faccio presente che, d’altra parte, le consegne di cibo erano ingenti. In condizioni normali, le persone che si nascondevano e i loro ospiti consumavano ogni giorno otto colazioni, dagli otto ai dodici pranzi e otto cene. In nove passaggi del libro si allude a cibo cattivo, mediocre, o insufficiente; il cibo per il resto è abbondante e “delizioso.” Il signor Van Daan “si serve abbondantemente di tutto” e Dussel “prende enormi porzioni” di cibo (9 agosto 1943). Sul posto fanno le salsicce e salumi, confetture di fragole, e conserve in barattoli. Non sembrano mancare nemmeno acquavite, alcool, cognac, vino, e sigarette. Il caffè è così comune che non si capisce perché l’autrice, elencando (23 luglio 1943) ciò che ciascuno vorrebbe fare quando potrà di nuovo uscire in libertà, afferma che il desiderio più intenso della signora Frank era quello di bersi una tazza di caffè. D’altra parte, il 3 febbraio 1944 - durante il terribile inverno del 1943 / 1944 - ecco l’inventario delle scorte disponibili alle sole persone che si stavano nascondendo, con l’esclusione di qualsiasi amico convivente e dei “nemici:” “trenta chili di farina,” “30 chili di fagioli e 5 di piselli,” “dieci scatole di pesce, 40 di latte condensato, 10 chili di latte in polvere, 3 bottiglie d’olio, 4 barattoli di burro, altrettanti di carne, 2 fiaschi di conserva di fragole, 2 di lamponi, 20 di pomodori, 5 chili di fiocchi d’avena, 4 di riso.” Fanno ingresso poi, in altri momenti, alcuni sacchi di legumi ciascuno del peso di... 25 chilogrammi, o ancora “dieci chili di piselli” (8 luglio 1944). Le consegne vengono effettuate da un “verduriere gentile,” e sempre “verso mezzogiorno” (11 aprile 1944). È inverosimile; in una città descritta altrove come alla fame, come faceva un verduriere a lasciare il negozio, in pieno giorno, con simili carichi e andare a consegnargli a una casa situata in un vicinato trafficato? Questo verduriere come avrebbe potuto evitare nel proprio quartiere (era “dietro l’angolo”) di incontrare i suoi clienti normali da cui, in quel tempo di scarsità di cibo, di norma veniva cercato e sollecitato? Ci sono molti altri misteri in relazione ad altre merci e al modo in cui queste raggiungevano il nascondiglio. In occasione delle feste e dei compleanni dei clandestini, i regali sono abbondanti: garofani, peonie, narcisi, giacinti, vasi per fiori, dolci, libri, caramelle, accendisigari, gioielli, rasoi, una roulette, ecc. Vorrei richiamare l’attenzione su una vera prodezza di cui è autrice Elli [un’amica di famiglia, ndt], la quale trova il modo di offrire un po’ d’uva il 23 luglio 1943; ripeto: un po’ d’uva ad Amsterdam il 23 luglio [fuori stagione quindi, ndt]. Ci viene detto anche il prezzo: 5 fiorini al chilo. 7. L’invenzione dello “scaffale girevole” è un’assurdità. La parte dell’immobile in cui si sarebbero nascosti esisteva infatti ben prima del loro arrivo. Mettere quindi un armadio significava indicare, se non la presenza di qualcuno, almeno un cambiamento in quell’edificio. La trasformazione dei locali dell’edifico - accompagnata dal rumore dei relativi lavori di carpenteria - non poteva sfuggire ai “nemici” e, in particolare, alla donna della pulizia. Questo preteso “sotterfugio,” escogitato con lo scopo d’ingannare la polizia nell’eventualità di un setacciamento, è probabile invece che, al contrario, l’allertasse (”stanno facendo molte perquisizioni per scovare biciclette nascoste,” spiega Anna il 21 agosto 1942, motivo per cui la porta d’ingresso del nascondiglio venne celata in quel modo). La polizia, non trovando nessuna porta d’ingresso per l’edificio che serviva da nascondiglio, sarebbe rimasta sorpresa da tale stranezza e avrebbe presto scoperto che qualcuno aveva voluto ingannarla dal momento che si sarebbe trovata dinnanzi a un edificio abitativo privo di un ingresso! 8. Per quanto riguarda i seguenti punti, abbondano altrettante situazioni inverosimili, incoerenze, e assurdità: le finestre (apertura e chiusura), l’elettricità (attaccata e staccata), il carbone (prelevato dal mucchio comune senza che i “nemici” se ne accorgessero), l’apertura e la chiusura delle tendine ovvero il camuffamento, l’uso dell’acqua e del gabinetto, i mezzi per cucinare, i movimenti dei gatti, gli spostamenti dalla parte anteriore della casa all’annesso (e viceversa), il comportamento del guardiano notturno, ecc. La lunga lettera dell’11 aprile 1944 è particolarmente assurda. In essa viene riportato il caso di un furto con scasso. Si sappia per inciso, che ci viene detto che la polizia si era fermata nel cuore della notte di fronte allo “scaffale girevole,” sotto la luce elettrica, alla ricerca dei ladri che avevano commesso quell’intrusione. “Armeggiano lo scaffale girevole.” La polizia accompagnata dal guardiano notturno, non si è accorta di nulla e non ha cercato di entrare nell’annesso! Come dice Anna: “Dio ci aveva protetti.” 9. Il 27 febbraio 1943 ci viene detto che fortunatamente il nuovo proprietario non ha insistito a prender visione dell’annesso. Koophuis gli disse di aver dimenticato a casa la chiave; il nuovo proprietario, anche se accompagnato da un architetto, non chiese altro e non esaminò il suo nuovo acquisto, né quel giorno né successivamente. 10. Quando si ha un intero anno per scegliere un nascondiglio (vedere 5 luglio 1942), si va a scegliere il proprio ufficio? Vi si porta la famiglia? E in aggiunta un collega? E pure la famiglia di quel collega? Si sceglie un luogo pieno di “nemici” in cui la polizia e i tedeschi sarebbero andati automaticamente a cercarli se non li avessero trovati a casa? Quei tedeschi, è vero, non erano molto curiosi. Il 5 luglio 1942 (una domenica) Frank padre (a meno che non si trattasse di Margot [la sorella di Anna, ndt]?!) ha ricevuto una “chiamata” dalle SS (si veda la lettera dell’8 luglio 1942). Tale ingiunzione a presentarsi non ha avuto nessun seguito. Margot, ricercata dalla SS, raggiunge il nascondiglio in bicicletta e, per giunta, lo fa il 6 giugno, quando, secondo la prima delle due lettere del 20 giugno, da qualche tempo agli ebrei era stato ordinato di consegnare le biciclette. 11. Per contestare l’autenticità de Il diario di Anna Frank si potrebbero invocare argomenti di carattere psicologico, letterario, e storico. Mi asterrò dal farlo in questa sede; mi limiterò semplicemente a sottolineare che le assurdità sul piano della realtà fisica sono così gravi e numerose da aver un effetto sul piano psicologico, letterario, e storico. 12. Non si devono attribuire all’immaginazione dell’autrice o alla ricchezza della sua personalità cose che sono nella realtà inconcepibili. L’inconcepibile è “ciò per il quale la mente non può formare alcuna rappresentazione, poiché i termini che la ritraggono coinvolgono un’impossibilità o una contraddizione: un cerchio quadrato, per esempio.” Chi dice di aver visto uno, dieci, o un centinaio di cerchi quadrati non dà prova di avere né un’immaginazione fervida, né una personalità ricca, perché, in effetti, ciò che dice è assolutamente privo di senso. Dà prova di avere una scarsa immaginazione; nulla più. Le assurdità del presenti ne Il diario di Anna Frank sono quelle di un’immaginazione scarsa sviluppatasi al di fuori di una esperienza vissuta; sono degne di un romanzo scadente, ovvero di una menzogna mediocre. Ogni personalità, per quanto scadente possa essere, contiene ciò che è appropriato chiamare contraddizioni di tipo psicologico, morale, o mentale. Mi asterrò dal dimostrare in questa sede che nella personalità di Anna non vi è nulla di tutto ciò; la sua personalità è costruita e inverosimile, come le esperienze a cui Il diario di Anna Frank si suppone faccia riferimento. Dal punto di vista storico non mi sorprenderebbe che uno studio dei giornali olandesi e delle radio inglesi e olandesi a partire dal giugno 1942 all’agosto 1944 dimostrasse che si trattasse di un falso scritto dal vero autore del diario. Il 9 ottobre 1942 Anna parla già di ebrei che venivano “gasati” (testo in olandese: Vergassing)! 13. Uno studio dei locali dell’edificio ad Amsterdam: le impossibilità fisiche da una parte e le spiegazioni inventate dal padre di Anna Frank dall’altra compromettono gravemente la posizione di quest’ultimo. 14. Di solito chi ha appena letto Il diario di Anna Frank può solamente rimanere scioccato nel vedere di persona per la prima volta la “Casa di Anna Frank.” Scopre infatti una specie di “casa di vetro,” visibile e osservabile da qualsiasi parte e accessibile dai quattro lati, oltre al fatto che la planimetria della casa - come riprodotta nel libro attraverso i buoni uffici di Otto Frank - costituisce una distorsione della realtà. Otto Frank si è ben visto dall’includere la planimetria del pianoterreno e dal dirci che la piccola corte che separa la parte frontale della casa dall’annesso è larga solo 3,7 metri. Si è preso cura soprattutto di non farci notare che quella stessa piccola corte è condivisa dalla “Casa di Anna Frank” (263 Prinsengracht) e dalla casa che situata a destra guardando la facciata (265 Prinsengracht). Grazie a tutta una serie di finestre e porte-finestre, gli abitanti dei numeri civici 263 e 265 vivevano e si muovevano sotto gli occhi e sotto il naso (in presenza degli odori della cucina!) dei loro rispettivi vicini. Le due case sono in realtà una, oggi oltretutto raggruppate costituiscono il museo. L’ingresso dell’annesso inoltre aveva una sua entrata grazie a una porta che conduceva dal retro a un giardino. Questo giardino è comune al numero civico 263 di Prinsengracht e al numero civico 190 di Keizersgracht. (Dal museo si vedono molto distintamente le persone che vivono al 190 e in molti altri numeri civici di Keizersgracht.) Da questo lato (lato giardino) e dall’altro lato (lato del canale) ho contato duecento finestre delle case vecchie con vista sulla “Casa di Anna Frank.” Anche i residenti del numero civico 261 di Prinsengracht potevano avere accesso al numero 263 dai tetti. È sciocco credere alla benché minima possibilità di vivere veramente di nascosto in quell’edificio; lo affermo tenendo conto, ovviamente, delle modifiche apportate agli edifici dopo la guerra. Indicando la vista sul giardino ho chiesto a dieci visitatori successivi come Anna Frank avrebbe potuto vivere lì di nascosto con la sua famiglia per venticinque mesi. Dopo un attimo di sorpresa (dovuto al fatto che i visitatori del museo in generale vivono in una sorta di stato di ipnosi), ciascuno di loro si è reso conto, in pochi secondi, che era assolutamente impossibile. Ci sono stati vari tipi di reazioni; sgomento per alcuni e scoppio di risate (”My God !”) per altri. Un visitatore, senza dubbio offeso, mi ha detto: “Non pensa che sia meglio lasciare la gente ai propri sogni?” Nessuno ha sostenuto la tesi de Il diario di Anna Frank nonostante alcune spiegazioni piuttosto pietose fornite dal prospetto e dalle iscrizioni presenti nel museo. 15. Le spiegazioni in questione sono le seguenti 1°, I “nemici” che si trovano in quei locali della parte frontale della casa credevano che le finestre che si affacciavano sulla piccola corte guardassero direttamente sul giardino [su cui si affacciavano invece le finestre dell’annesso, ndt]; non erano a conoscenza quindi nemmeno dell’esistenza dell’annesso e questo grazie alle finestre che venivano oscurate dalla carta nera utilizzata per assicurare la conservazione delle spezie lì immagazzinate; 2°, Per quanto riguarda i tedeschi, non avevano mai pensato all’esistenza di un annesso, “visto che questo tipo di edificio era a loro sconosciuto”; 3°, Il fumo della stufa “non attirò l’attenzione, perché in quel momento la parte (dove erano situati) serviva da laboratorio per la piccola fabbrica, dove una stufa sarebbe stata parimente in funzione tutti i giorni.” Le prime due di queste tre spiegazioni provengono da un libretto
di trentasei pagine, senza titolo e senza data, stampato da Koersen
ad Amsterdam; l’ultima spiegazione è presente nel
prospetto di quattro pagine disponibile presso l’ingresso al
museo. Il contenuto di queste due pubblicazioni ha ricevuto
l’approvazione del signor Otto Frank; in tutti e tre i casi
però queste spiegazioni non hanno il benché minimo
valore. L’annesso è visibile ed evidente da un
centinaio di posizioni dal pianterreno (il cui accesso è
vietato ai visitatori), dal giardino, dai corridoi di comunicazione
su quattro livelli, dalle due finestre dell’ufficio che
guardano sulla corte e dalle case vicine. Alcuni
“nemici” erano perfino costretti ad andare
lì per espletare i loro bisogni naturali perché
non c’erano alternative
nella parte frontale della casa. Al piano terra del
retrocasa accedevano perfino alcuni clienti della ditta. La
“piccola fabbrica” che si suppone essere esistita
“in quel periodo,” nel pieno centro di quel quartiere
residenziale e commerciale, si presume sarebbe rimasta per almeno
due anni senza emettere fumo per poi, improvvisamente, iniziare di
nuovo a emetterlo il 30 ottobre 1942. E che fumo! Giorno
e notte! D’inverno come d’estate, in presenza e in
assenza del caldo soffocante. A parere di tutti (e, in particolare,
dei “nemici,” come Lewin che in precedenza aveva
situato lì il suo laboratorio chimico), la “piccola
fabbrica” avrebbe ripreso di nuovo la sua attività! Ma
perché il signor Frank ha aguzzato l’ingegno per
trovare questa spiegazione, quando, per altri versi,
l’annesso è già descritto come una sorta di
casa-fantasma? 1°, Alcuni fatti molto gravi per la posizione del signor Otto Frank restano inspiegati; 2°, Il signor Otto Frank è in grado di inventarsi storie, anche stupide e mediocri, esattamente come quelle che ho indicato nella mia lettura critica de Il diario di Anna Frank. Chiedo al lettore di ricordarsi questa conclusione; verrà a sapere in seguito quale risposta mi ha dato personalmente il signor Frank alla presenza della moglie. 17. Per la documentazione fotografica relativa alla “Casa di Anna Frank,” si veda l’appendice n°1. 18. L’intervista al testimone principale: il signor Otto Frank. Quest’audizione si è rivelata insopportabile per il padre di Anna Frank. 19. Feci sapere al signor Otto Frank che con i miei studenti stavo preparando uno studio de Il diario di Anna Frank, facendo presente chiaramente che la mia specialità era la critica testuale e dei documenti e che necessitavo di< un colloquio prolungato. Il signor Frank mi concesse l’intervista con entusiasmo; fu così che fui ricevuto nella sua residenza a Birsfelden, un sobborgo di Basilea, all’inizio il 24 marzo 1977, dalle 10:00 del mattino all’1:00 di pomeriggio e poi dalle 3:00 di pomeriggio alle 6:00 di sera e in fine, il giorno dopo, dalle 9:30 del mattino alle 12:30 del pomeriggio. A dire il vero, il giorno dopo come luogo dell’incontro fu stabilita una banca a Basilea; il signor Frank volle infatti di prelevare in mia presenza da una cassetta di sicurezza ciò che chiamava il manoscritto della figlia. L’intervista quindi quel giorno si tenne in parte in tale banca e in parte sulla via di ritorno a Birsfelden e, in parte, di nuovo, nella residenza del signor Frank. Tutti i colloqui avvenuti nella residenza del signor Frank avvennero in presenza della moglie (la seconda moglie dato che la prima morì, a quanto sembra di tifo, dopo essere stata deporta, al pari di Margot e Anna). Dopo il primo minuto dell’intervista dichiarai chiaro e tondo al signor e alla signora Frank che avevo qualche dubbio sull’autenticità de Il diario di Anna Frank. Il signor Frank non mostrò segni di sorpresa e si dichiarò pronto a fornirmi tutte le informazioni che desideravo. Rimasi colpito in quei due giorni dall’affabilità estrema del signor Frank; nonostante l’età - 88 anni - non ricorse mai al pretesto la stanchezza per concludere prematuramente l’intervista. Ne Il diario di Anna Frank viene descritto come un simpaticone (vedere 2 marzo 1944). Inspira sicurezza; sa come anticipare i vostri desideri non espressi; si adatta notevolmente alle situazioni; adotta volentieri argomenti fondati sui sentimenti e parla moltissimo di tolleranza e di comprensione. Lo vidi perdere le staffe solamente una volta, mostrandosi per l’occasione intransigente e violento; ciò fu in occasione della causa sionista che doveva sembrargli sacra. Fu con tale atteggiamento che mi dichiarò di non mettere nemmeno più piede sul suolo francese perché, a suo avviso, alla Francia non interessava più nulla eccetto il petrolio arabo e non le importava di Israele. Il signor Frank non mantenne la promessa di rispondere alle mie domande solamente in tre occasioni; è interessante sapere che si tratta dei seguenti tre punti: 1°, l’indirizzo di Elli
in Olanda;
2°, il come rintracciare il magazziniere indicato nel libro come v.M. (che ho saputo trattarsi probabilmente di Van Maaren); 3°: il come rintracciare l’austriaco Karl Silberbauer che il 4 agosto 1944 arrestò i clandestini [protagonisti de Il diario di Anna Frank]. 20. A proposito di Elli, il signor Frank mi dichiarò che era molto malata e che, essendo “poco intelligente,” non avrebbe potuto essermi di nessun aiuto. Per quanto riguarda gli altri due testimoni, avevano passato abbastanza guai senza che andassi a importunarli con domande che avrebbero fatto riaffiorare loro alla mente un passato doloroso. A compensazione di ciò, il signor Frank mi raccomandò di mettermi in contatto con Kraler (il cui vero nome è Kugler), stabilitosi in Canada, e con Miep e suo marito, che vivono tuttora ad Amsterdam. 21. Il signor Frank mi ha dichiarato che le basi del Il diario di Anna Frank sono autentiche; che gli eventi descritti sono veri, e che fu Anna, e solamente Anna, ad aver scritto i manoscritti del Il diario di Anna Frank. Anna, come ogni scrittore, forse aveva qualche tendenza a esagerare o distorcere con l’immaginazione ma tutto entro i limiti dell’ordinario e dell’accettabile, senza che per questo ne soffrisse la veridicità dei fatti. Complessivamente i manoscritti di Anna formano una produzione notevole. Ciò che il signor Frank ha presentato agli editori non era il testo di questi manoscritti, il puro testo originale, ma un testo che ha scritto a macchina lui in persona: un “dattiloscritto.” È stato così costretto per vari motivi a trasformare i vari manoscritti in un unico “dattiloscritto.” I manoscritti innanzitutto presentavano alcune ripetizioni; contenevano poi alcune indiscrezioni e inoltre alcuni passi privi di interesse. C’erano infine... alcune omissioni! Il signor Frank, notando il mio stupore, mi fece il seguente esempio (senza dubbio un esempio innocuo ma mi chiedo se ce ne siano stati altri più seri che mi ha tenuto nascosto): ad Anna piacevano molto i suoi zii ma nel suo diario ha omesso di menzionarli tra le persone a cui voleva bene; il signor Frank ha quindi ha compensato quell’“omissione” menzionando quegli zii nel “dattiloscritto.” Il signor Frank disse [inoltre] di aver cambiato alcune date! Ha pure cambiato i nome di alcuni personaggi. Sembra, senza ombra di dubbio, che fu Anna stessa, ad aver pensato di cambiare i nomi; aveva considerato l’eventualità della pubblicazione del diario. Il signor Frank scoprì, su un pezzo di carta, la lista dei nomi veri con i corrispettivi nomi falsi. Si suppone che Anna abbia pensato di chiamare i Frank con il cognome Robin. Il signor Frank rimosse dai manoscritti certe indicazioni dei prezzi di alcuni beni. Più importante, trovandosi, almeno in certi momenti, in possesso di due versioni differenti del testo, gli fu necessario “combinare” (questo è il termine che ha usato) i due testi in uno unico. Riassumendo tutte queste trasformazioni, il signor Frank infine mi dichiarò: “Fu un compito difficile. Lo feci secondo coscienza.” 22. I manoscritti che mi presentò il signor Frank come quelli di sua figlia costituiscono nell’insieme un qualcosa di impressionante. Non ho avuto il tempo di esaminarli attentamente. Mi sono fidato della descrizione che mi è stata fatta e li riassumerò come segue: – La prima data menzionata è il 12 giugno 1942, mentre l’ultima è il primo agosto 1944 (tre giorni prima del loro arresto); – Il periodo dal 12 giugno 1942 al 5 dicembre dello stesso anno (quest’ultima data però non corrisponde a nessuna lettera stampata); abbiamo a disposizione un piccolo quaderno per appunti con una copertina in carta telata con un disegno a quadretti rossi, bianchi, e marroni (il “quaderno con la copertina in stile scozzese”); – Il periodo dal 6 dicembre 1942 al 21 dicembre 1943; non siamo in possesso di nessun quaderno in particolare (vedere però nel seguito i “fogli sparsi”); si presume che questo quaderno sia andato perso; – Il periodo dal 2 dicembre 1943 al 17 aprile 1944, poi per il periodo da quella stessa data del 17 aprile (!) all’ultima lettera (primo agosto 1944); due quaderni di appunti rilegati in nero e foderati con carta marrone. 23. A questi tre
quaderni e a quello mancante va aggiunta una raccolta di 38 fogli
sparsi, per il periodo dal 20 giugno 1942 al 29
marzo 1944. Il signor Frank ha detto che quei fogli
costituiscono una ripresa e un rimpasto, fatto da Anna stessa,
di lettere contenute, in forma originale, nei quaderni di cui
sopra: il “quaderno con la copertina in stile
scozzese,” il quaderno mancante, e il primo dei due quaderni
neri. 1°, La critica interna basata sulla coerenza di un testo ci permette di rilevare alcune singolarità che sono manifestazioni di anomalie autentiche; 2°, Il lettore de Il diario di Anna Frank, una volta giunto all’episodio dell’8 luglio 1944, ha il diritto di affermare l’assurdità di un testo in cui l’eroe (”verduriere sull’angolo” “molto gentile”), salta fuori dalle profondità degli abissi come uno che risorge dalla morte. 33. Tale fruttivendolo,
mi disse il signor Frank, si chiamava Van der Hoeven, il quale,
deportato per aver ospitato a casa alcuni ebrei, alla fine fece
ritorno. Al momento delle cerimonie commemorative, arrivò a
comparire al fianco del signor Frank. Ho chiesto al signor Frank se
dopo la guerra qualcuno del quartiere gli avesse detto:
“Abbiamo sospettato della presenza di persone che si
nascondevano a Prinsengracht 263” e Frank mi ha risposto
chiaramente che nessuno aveva sospettato della loro presenza,
inclusi gli uomini del magazzino, Lewin, e anche Van der Hoeven.
Quest’ultimo presumibilmente li ha aiutati senza saperlo! – “Dai andiamo! [si intenda, “Che assurdità!”, ndt] – “Quel che dici è incredibile!” – “Un aspirapolvere! Questa è da non crederci! Non l’avevo mai notata!” – “Ma dovevi essere veramente imprudente!” – “Questa è stata davvero un’azione imprudente!” L’osservazione più interessante che la signora
Frank ha fatto è stata la seguente: “Sono sicura che
[la gente del quartiere] sapeva che eravate lì.”
Da
parte mia, direi piuttosto: “Sono sicuro che la gente del
quartiere vedeva, udiva, sentiva l’odore della presenza di
persone in clandestinità, se effettivamente qualcuno si
fosse nascosto in quella casa per venticinque mesi.” Ich setze mich zu ihm ans Bett und habe ihm alles gesagt. Er hing sehr an Herrn Frank, denn er kannte ihn lange [passo mancante]. Gesagt hat er nichts. Er hat nur dagelegen. [2] Ed ecco il testo in lingua inglese: I sat down beside his bed and
told him everything. He was deeply attached to Mr. Frank, who
he had
known a long time [passo
mancante]. He said nothing. [3]
46. Una volta tornato in
Francia mi è stato facile chiarire questo mistero: da molti
altri punti del testo in lingua francese è diventato
evidente che sono esistite due versioni originali in tedesco. La
prima versione di Schnabel deve essere stata inviata come
“dattiloscritto” alla casa editrice francese di Albin
Michel in modo che potesse essere preparata una traduzione in
francese senza perdere tempo. Subito dopo, Schnabel o, molto
probabilmente, il signor Frank, ha proceduto a stilare una
revisione di quel testo, rimuovendo quindi quella frase su Vossen
in discussione. Fischer
successivamente ha pubblicato la versione corretta, ma in Francia
avevano lavorato molto velocemente, tanto che il libro era
già in stampa. Era troppo tardi per porvi rimedio. Noto
inoltre una curiosità bibliografica: la mia copia del Sur
les tracce d’Anne Frank è contrassegnata come
“18 millesima” copia e riporta come data di
“completamento della stampa” il febbraio 1958. Per
quanto riguarda l’edizione originale in tedesco il primo migliaio
di copie venne stampato nel marzo 1958. La traduzione [in
francese] quindi è comparsa effettivamente prima
dell’originale. 48. Un’analisi bibliografica: silenzi curiosi e rivelazioni curiose. 49. Nel libro di Schnabel già citato (Spur eines Kindes) ci sono alcune omissioni curiose, mentre il lungo articolo, non firmato, del Der Spiegel (1° aprile 1959, pagine 51-55) dedicato a Il diario di Anna Frank a seguito del caso Stielau fa alcune rivelazioni curiose. Il titolo dell’articolo è eloquente: “Anne Frank. Was schrieb das Kind?” (”Anna Frank. Che cosa ha scritto la ragazzina?”). 50. Ernst Schnabel difende apertamente Anna Frank e Otto Frank. Il suo libro è relativamente ricco di informazioni su tutto ciò che precede e segue i venticinque mesi della vita trascorsa a Prinsengracht, ma, d’altra parte, è molto carente in merito a venticinque mesi. Si direbbe che i testimoni diretti (Miep, Elli, Kraler, Koophuis, e Henk) non hanno nulla da dire su quel periodo molto importante. Perché tacciono in questo modo? Perché hanno detto solo banalità come: “(...) quando a mezzogiorno mangiavamo di sopra assieme a loro il nostro piatto di minestra” (pagina 99) o: “Mangiavamo sempre insieme” (pagina 102)? Nessun dettaglio concreto, non una descrizione, non un aneddoto la cui precisione darebbe l’impressione che quei clandestini e i loro amici fedeli mangiassero insieme regolarmente in questo modo, a mezzogiorno. Tutto sembra avvolto in una sorta di nebbia benché i testimoni siano stati interrogati solo, al massimo, tredici anni dopo l’arresto dei Frank, nonostante qualcuno di loro, come Elli, Miep, ed Henk, era ancora giovane; non sto parlando di molte altre persone che Schnabel qualifica abusivamente come “testimoni” e che, di fatto, non avevano mai conosciuto o perfino incontrato i Frank. Questo è il caso, ad esempio, del famoso “verduriere” (Gemüsemann). “Non conosceva affatto i Frank” (pagina 73). In generale, l’impressione che mi sono fatto dalla lettura del libro di Schnabel è la seguente: questa Anna Frank è realmente esistita; era una ragazzina priva di un gran carattere, senza una personalità forte, non precoce dal punto di vista scolastico (anzi, il contrario), e nessuno sospettava che avesse un talento per la scrittura; questa bambina sfortunata ha conosciuto gli orrori della guerra, è stata arrestata dai tedeschi, internata, e poi deportata; quando entrò nel campo di Auschwitz-Birkenau, venne separata dal padre; la madre morì in infermeria a Birkenau il 6 gennaio 1945; verso l’ottobre del 1944 Anna e la sorella [Margot, ndt] sono state trasferite al campo di Bergen-Belsen; prima morì di tifo Margot, poi, nel marzo del 1945, a sua volta, anche Anna morì di tifo, sola al mondo. Ecco alcuni punti sui quali i testimoni non hanno esitato a parlare. Con tutti loro però si percepisce un’aria di diffidenza nei confronti della leggendaria Anna, la quale fu in grado di prendere in mano la penna come ci è stato detto, tenere quello che è il Il diario di Anna Frank, e scrivere quei Racconti, e stilare “l’inizio di un romanzo,” ecc. Lo stesso Schnabel scrive una frase molto rivelatrice quando dichiara: “I miei testimoni ebbero molto da dire su Anna come persona; hanno tenuto conto della leggenda solamente con grande reticenza, o ignorandola tacitamente. Benché non contestarono né contraddissero la leggenda nemmeno di una sola parola, ebbi l’impressione che si proteggessero. Tutti loro avevano letto Il diario di Anna Frank, ma nessuno lo menziona (pagina 8).” Quest’ultima frase è importante: “Tutti loro avevano letto Il diario di Anna Frank, ma nessuno lo menziona.” Lo stesso Kraler, che ha inviato una lunga lettera a Schnabel da Toronto, non ha mai menzionato né Il diario di Anna Frank, né gli altri scritti di Anna (pagina 77). Kraler è l’unico testimone diretto che racconta uno o due aneddoti su Anna, ma, cosa molto curiosa, pone tali aneddoti, nel periodo in cui i Frank vivevano ancora nel loro appartamento a Merwedeplein, prima della loro “scomparsa” (”prima di scomparire,” pagina 78). È solo nell’edizione corretta che il secondo aneddoto viene ambientato a Prinsengracht, e anzi “quando erano già nell’annesso segreto” (pagina 78). I testimoni non hanno voluto che i loro nomi venissero pubblicati. I due testimoni più importanti (”colui che probabilmente li ha denunciati” e il poliziotto austriaco) non sono stati né interrogati, né rintracciati. Schnabel ha tentato a più riprese di spiegare questa curiosa omissione (pagine 11 e 119, e tutta la fine del capitolo X), spingendosi fino al punto di presentare una sorta di difesa del funzionario di polizia che ha eseguito l’arresto! Qualcuno comunque menziona Il diario di Anna Frank, ma lo fa per segnalare un punto che le sembra bizzarro, a proposito della scuola Montessori di cui era la direttrice (pagina 40). Schnabel stesso tratta Il diario di Anna Frank in modo curioso; come spiegare, infatti, le amputazioni che fa quando cita un passo come quello alle pagina 106 e 107 [del suo libro]? Citando un lungo brano della lettera dell’11 aprile 1944 in cui Anna racconta l’incursione della polizia a seguito di un furto con scasso, omette la frase in cui Anna addita la causa principale della propria angoscia; si tratta della polizia che a quanto pare giunse fino a dare allo “scaffale girevole” alcuni colpi rumorosi. (“Das und das Rasseln der Polizei an der Schranktüre waren für mich die schrecklichsten Augenblicke” [nella traduzione italiana, ”Questo, e quando la polizia armeggiava allo scaffale, furono i momenti più angosciosi per me,” ndt]. Schnabel non ha pensato, come qualsiasi persona di buon senso, che quel passo è assurdo? In ogni caso, ci dice di aver visitato il numero civico 263 di Prinsengracht prima che venne trasformato in un museo. Lì non ci vide nessuno “scaffale girevole.” Scrive: “Lo scaffale, che è stato costruito a copertura della porta per nasconderla, è stato tirato giù; non ne è rimasto nulla eccetto i cardini torti accanto alla porta” (pagina 67). Non trovò nessuna traccia di qualche camuffamento speciale, ma solo, nella camera di Anna, uno scampolo di tenda ingiallita (“ein zerschlissener, vergilbter Rest der Gardine” [”uno scampolo, consunto e ingiallito, della tenda che pendeva a ridosso della finestra,” ndt] [ibidem]). Il signor Frank, a quanto pare, aveva segnato a matita sulla carta da parati, nei pressi di una porta, le altezze successive delle figlie [man mano che crescevano]. Oggi, presso il museo, i visitatori possono vedere un pezzo impeccabile, a forma di quadrato, di carta da parati posto sotto vetro dove si notano il segni a matita impeccabili che sembrano essere stati tracciati tutti lo stesso giorno. Ci viene detto che questi segni a matita indicano l’altezza delle figlie del signor Frank. Quando ho visto il signor Frank a Birsfelden gli ho chiesto se in questo caso non si trattasse di una “ricostruzione”; mi ha assicurato che era tutto autentico, ma è difficile da crederci. Schnabel stesso aveva visto semplicemente, come un segno, una “A 42” da lui interpretato così: “Anna 1942.” Ciò che è strano è che il materiale “autentico” nel museo non comprende nulla di simile a ciò che Schnabel dice di aver visto solo quel segno e che gli altri segni sono andati distrutti o strappati via (“die anderen Marken sind abgerissen” [ibidem]). Il signor Frank potrebbe essersi reso colpevole in questo caso di uno stratagemma (“ein Trick”), come quando aveva suggerito a Henk e Miep di fotocopiare il passaporto? (*) Un punto molto interessante della storia di Anna riguarda i manoscritti. Mi spiace affermare che trovo molto improbabile il racconto della scoperta di così tanti scritti e la loro successiva consegna al signor Frank da parte della sua segretaria Miep. La polizia avrebbe presumibilmente sparso sul pavimento ogni sorta di carte, tra le quali, si suppone, Miep ed Elli avrebbero raccolto un “quaderno scozzese” (“ein rotkariertes Buch,” un libro con la copertina a quadretti rossi, stile scozzese) e molti altri scritti in cui si presume abbiano riconosciuto la calligrafia di Anna. A quanto sembra non avrebbero letto nulla e si presume avrebbero messo da parte tutte queste carte in un ufficio di grandi dimensioni. Quelle carte, poi, si suppone sarebbero state consegnate al signor Frank al momento del suo ritorno dalla Polonia (pagine 155-157). Questa versione non concorda affatto con il racconto dell’arresto. L’arresto venne effettuato lentamente, metodicamente, correttamente, esattamente come previsto per le perquisizioni; le testimonianze su questo punto sono unanimi (si veda il capitolo IX). Dopo l’arresto, la polizia è tornata nell’edificio in svariate occasioni e ha interrogato soprattutto Miep; voleva sapere se i Frank fossero in connessi ad altri clandestini. Il diario di Anna Frank, per come lo conosciamo, avrebbe rivelato, a prima vista, una grande quantità di informazioni utili alla polizia, e sarebbe stato terribilmente compromettente per Miep, Elli, e per tutti gli amici dei clandestini. La polizia avrebbe potuto ignorare il “quaderno scozzese” se, nella sua condizione originale, fosse consistito, come credo, solo di qualche disegno, fotografia, e annotazione di carattere innocuo. Sembra però improbabile che la polizia avesse potuto lasciare lì parecchi quaderni e diverse centinaia di pagine sparse, tutti scritti, almeno all’apparenza, da un adulto. Da parte di Elli e Miep, sarebbe stato folle raccogliere assieme e conservare, in particolare in ufficio, una tale massa di documenti compromettenti. Sembra che sapessero che Anna avesse un diario. In un diario tipicamente si racconta ciò che accade di giorno in giorno; c’era di conseguenza, il rischio che in esso Anna avesse menzionato Miep ed Elli. 51. Per quanto riguarda il libro di Schnabel, il signor Frank mi fece una rivelazione sorprendente; mi disse che quel libro, benché tradotto in svariate lingue, non era stato tradotto in olandese! Il motivo di questa eccezione era che i principali testimoni che vivevano in Olanda avevano espresso, per modestia e perché non fossero disturbate la loro pace e loro tranquillità, il desiderio che la gente non parlasse di loro. Il signor Frank in realtà si sbagliava oppure mi stava ingannando; un’indagine condotta ad Amsterdam in un primo momento mi ha portato a credere che il libro di Schnabel non fosse stato tradotto in olandese; perfino la casa editrice Contact aveva risposto o aveva fatto in modo che svariate librerie e parecchie persone rispondessero che quel libro non fosse esistito. Ho scoperto poi in una vetrina del museo “Casa di Anna Frank” che il libro di Schnabel veniva indicato come tradotto in olandese e pubblicato nel 1970 (dodici anni dopo la sua pubblicazione in Germania, in Francia, e negli Stati Uniti!) con il titolo di Haar laatste Levensmaanden (“I suoi ultimi mesi di vita”). Il libro, purtroppo, non era reperibile. Ho ottenuto le stesse risposte dalle biblioteche e dalla casa editrice Contact. Quest’ultima finalmente, a seguito della mia insistenza, mi ha risposto dicendomi di avere a disposizione una sola copia di archivio. Con qualche difficoltà ho ottenuto il permesso per consultarla e poi di fotocopiare le pagine 263-304. Perché, in realtà, l’opera in questione conteneva solo un estratto dal libro di Schnabel, ridotto a 35 pagine, e riportato come appendice al testo de Il diario di Anna Frank. Lo studio comparativo di Spur eines Kindes e della sua “traduzione” in olandese è del massimo interesse. Del libro di Schnabel, gli olandesi possono solo leggere gli ultimi cinque capitoli (su tredici in tutto). Tre di questi cinque capitoli hanno subìto, inoltre, tagli di ogni genere, alcuni contrassegnati dai puntini di sospensione, mentre altri non segnalati affatto. I capitoli ;così tagliati sono il IX, il X, e il XIII - vale a dire quelli che riguardano, da un lato, l’arresto e le relative conseguenze dirette (in Olanda) e, dall’altro, la storia dei manoscritti. Quando non è più una questione di quei soggetti, ma di campi (come è il caso dei capitoli XI e XII), il testo originale di Schnabel viene rispettato. Questi tagli, se esaminati attentamente, sembrano essere stati introdotti per rimuovere i dettagli alquanto precisi presenti nelle testimonianze di Koophuis, Miep, Henk, ed Elli. Manca, per esempio, senza nulla che indichi la presenza di un taglio, il passaggio fondamentale in cui Elli racconta a suo padre l’episodio dell’arresto dei Frank (le 13 righe della pagina 115 di Spur eines Kindes sono completamente assenti dalla pagina 272 di Haar Laatste Levensmaanden). È strano che l’unica nazione per la quale è stata riservata una versione censurata della vita di Anna Frank sia proprio quella teatro dell’avventura di quella ragazzina. Riuscite a immaginare il caso di alcune rivelazioni su Giovanna d’Arco che sarebbero state diffuse in ogni genere di nazione ma fossero state in qualche modo tenute nascoste alla popolazione francese? Un tale modo di agire è comprensibile solamente se gli editori temevano che nel paese di origine quelle “rivelazioni” presto sarebbero apparse sospette. La spiegazione data dal signor Frank non regge; il motivo è che i nomi di Koophuis, Miep, Henk, ed Elli compaiono comunque (peraltro come pseudonimi per tutto o per parte del nome) e inoltre Schnabel ha riportato questa e quella loro frase; non si capisce come l’introduzione di quei tagli fatti in quelle frasi possa lenire la modestia sensibile di coloro che le hanno pronunciate o assicurare loro una maggiore tranquillità nel vivere ad Amsterdam. Credo piuttosto che la preparazione della traduzione in olandese abbia dato luogo a negoziazioni molto lunghe e parecchio difficili tra tutte le parti interessate o, almeno, tra il signor Frank e alcuni di loro, ma, col passare degli anni, sono diventati più prudenti nei confronti delle “testimonianze” originali e più parchi nel rivelare i dettagli. 52. L’articolo del Der Spiegel menzionato sopra riporta, come ho detto, alcune rivelazioni curiose. In linea di principio diffido dei giornalisti; lavorano troppo in fretta. In questo caso è evidente che il giornalista ha svolto un’indagine approfondita; la questione scottava troppo ed era troppo delicata per essere trattata con leggerezza. La conclusione del lungo articolo potrebbe essere in effetti la seguente: Lothar Stielau, pur sospettando che Il diario di Anna Frank fosse un falso, forse non ha dimostrato nulla, ma ugualmente “si è imbattuto in un problema veramente difficile - il problema della genesi della pubblicazione del libro” (auf ein tatsächlich heikles Problem gestossen - das Problem der Enstehung der Buchausgabe, pagina 51). E si scopre che leggendo il libro intitolato Il diario di Anna Frank, in olandese, in tedesco, e in qualsivoglia altra lingua, si è molto lontani dal testo dei manoscritti originali. Supponiamo per un momento che i manoscritti siano autentici; è necessario essere consapevoli che, di fatto, ciò che si legge nel libro, per esempio nella versione in olandese (vale a dire quella che si presume sia la lingua originale), è solo il risultato di tutta una serie di operazioni di riorganizzazione e di riscrittura a cui hanno preso parte in particolare il signor Frank e alcuni amici stretti, tra i quali (per il testo in olandese) i coniugi Cauvern e (per la versione tedesca) Anneliese Schütz, di cui Anna era stata allieva. 53. Tra la forma originale del libro (vale a dire i manoscritti) e quella stampata (ovvero l’edizione in olandese pubblicata dalla Contact nel 1947), il testo ha conosciuto almeno cinque forme successive. Prima forma: Tra la fine del maggio 1945 e l’ottobre 1945, il signor Frank aveva redatto una sorta di copia (“Abschrift”) dei manoscritti, in parte da solo, in parte con l’aiuto della sua segretaria Isa Cauvern (la moglie di Albert Cauvern, un amico del signor Frank; prima della guerra, i Cauvern avevano ospitato le figlie dei Frank a casa loro per le vacanze). Seconda forma: Dall’ottobre 1945 al gennaio 1946, il signor Frank e Isa Cauvern hanno lavorato insieme per realizzare una nuova versione di quella copia, una versione dattiloscritta (“Neufassung der Abschrift / Maschinengeschriebene Zweitfassung”). Terza forma: A una data imprecisata (alla fine dell’inverno del 1945-1946), questa seconda versione (dattiloscritta) è stata presentata ad Albert Cauvern, il quale, lavorando in un’emittente radiofonica come annunciatore della radio De Vara a Hilversum era a conoscenza della riscrittura dei manoscritti. Secondo le sue stesse parole, ha iniziato con l’effettuare “cambiamenti tollerabili” a quella versione; ha elaborato il proprio testo come farebbe una “mano esperta” (“Albert Cauvern stellt heute nicht in Abrede, dass er jene maschinengeschriebene Zweitfassung mit kundiger Hand redigiert hat: “Am Anfang habe ich ziemlich viel geändert””, page 52). Un dettaglio sorprendente per un diario: costui non si è fatto remora di raggruppare sotto un’unica data alcune lettere scritte in giorni diversi; una seconda volta si è limitato a correggere la punteggiatura e gli errori nel fraseggio e di grammatica. Tutti questi cambiamenti e correzioni sono stati effettuati sul testo dattiloscritto; Albert Cauvern non ha mai visto i manoscritti originali. Quarta forma: Nella primavera del 1946 il signor Frank ha elaborato, a partire da quelle modifiche e correzioni, ciò che si potrebbe chiamare il terzo dattiloscritto; ha presentato il risultato a “tre esperti di primo piano” (“drei prominente Gutachter”, pagina 53) facendo credere loro che si trattasse della riproduzione integrale del manoscritto, con l’eccezione molto comprensibile di alcuni punti di carattere personale; il testo, a quanto sembra garantito dai tre, successivamente è stato offerto dal signor Frank a svariate case editrici di Amsterdam, che lo hanno rifiutato; poi, con ogni probabilità, è tornato a una di queste tre persone, la signora Anna Romein-Verschoor, finendo che il marito di quest’ultima, il signor Jan Romein, docente di storia dei Paesi Bassi presso l’Università di Amsterdam, scrivesse sul quotidiano Het Parool un famoso articolo che inizia con queste parole: “Per caso mi è capitato nelle mie mani un diario (ecc.).” Come conseguenza dei molti elogiati ricevuti in quell’articolo è seguita una richiesta di pubblicazione del diario da parte di una modesta casa editrice di Amsterdam (Contact). Quinta forma: Ad accordo quasi concluso o in fase di conclusione, il signor Frank è andato a trovare vari “consiglieri spirituali” (mehrere geistliche Ratgeber), uno dei quali era il pastore Buskes, concedendo loro piena facoltà di censurare il testo (“raumte ihnen freiwillig Zensoren-Befugnisse ein”, pagine 53-54). Quella censura venne effettivamente messa in atto. 54. Le stranezze però non finiscono qui. Il testo in tedesco de Il diario di Anna Frank è oggetto di osservazioni interessanti da parte del giornalista del Der Spiegel che scrive: “Una curiosità della “letteratura di Anna Frank” è il lavoro di traduzione di Anneliese Schütz che Schnabel ha commentato: “Magari tutte le traduzioni fossero così fedeli”, ma il cui testo molto spesso si discosta dall’originale in olandese” (pagina 54). In realtà, come mostrerò nel seguito (sezioni 72-103), il giornalista è molto indulgente in quella sua critica quando dice che il testo in tedesco si discosta molto spesso da ciò che chiama l’originale (cioè quello che è senza dubbio proveniente dall’originale stampato in olandese). Il testo stampato in tedesco non ha il diritto di essere chiamato una traduzione stampata in olandese; costituisce, propriamente parlando, un altro libro a sé stante. Passiamo comunque oltre questo punto; torneremo nel seguito su tale questione. Anneliese Schütz, grande amica dei Frank, come loro ebrea tedesca rifugiata in Olanda, e insegnante di Anna, ha preparato poi un testo, in tedesco, del diario della sua ex-allieva. Ha fatto questo lavoro... per la nonna di Anna! Quest’ultima, molto anziana, in effetti non leggeva l’olandese e aveva bisogno quindi di una traduzione in tedesco, lingua nativa dei Frank. Anneliese Schütz ha realizzato la sua “traduzione” “dal punto di vista della nonna” (aus der Grossmutter-Perspektive, pagina 55), prendendosi alcune libertà stupefacenti. Dove, secondo i suoi ricordi, Anna si sarebbe dovuto esprimere meglio, l’ha fatta... esprimere meglio! La nonna ne aveva il diritto! “(...) die Grossmutter habe ein Recht darauf, mehr zu erfahren - vor allem dort, «wo Anne nach meiner Erinnerung etwas besseres gesagt hatte»” (ibidem). Sia detto per inciso, che Anneliese Schütz non viene mai menzionata da Anna Frank nel suo diario. Dobbiamo intendere che aveva vissuto vicino ad Anna o che l’aveva conosciuta durante i venticinque mesi durante i quali si nascondeva a Prinsengracht? Alla “punto di vista della nonna,” che dettava alcuni “obblighi,” si è aggiunto quello che si potrebbe chiamare il “punto di vista commerciale,” che dettava altri obblighi. In effetti, al momento di pubblicare in Germania Il diario di Anna Frank, Anneliese Schütz introdusse ulteriori modifiche. Prendiamo un esempio da lei stessa citato. Nel manoscritto, dicono, era presente la seguente frase: “(...) nessuna ostilità più forte al mondo di quella tra i tedeschi e gli ebrei” (ibidem). Anneliese Schütz ha sostituito “i tedeschi” con “questi tedeschi”, avendo cura di scrivere “questi” in corsivo per indicare ai lettori tedeschi che Anna intendeva riferirsi ai nazisti. Anneliese Schütz ha dichiarato al giornalista del Der Spiegel: “Mi sono sempre detta che un libro, destinato ad essere venduto in Germania, non può contenere un’espressione insultante per i tedeschi” (ibidem). Da parte mia, vorrei dire che quest’argomentazione, sul piano allo stesso tempo commerciale, sentimentale, e politico, è comprensibile provenendo una donna di origine ebraica di Berlino che prima della guerra era stata una militante in un movimento di suffragette e che ha dovuto lasciare il proprio paese per motivi politici. Per il resto però quest’argomentazione è tutt’altro che accettabile, poiché le frasi “insultanti” sono state diffuse, e continuano ad essere diffuse in milioni di copie de Il diario di Anna Frank vendute in tutto il mondo in altre lingue diverse dal tedesco. E qui non sto parlando semplicemente dal punto di vista del rispetto della verità.55. Non si ha l’impressione che i “collaboratori” del signor Frank per la pubblicazione de Il diario di Anna Frank fossero particolarmente soddisfatti del lavoro svolto, né che fossero notevolmente felici di tutto il polverone sollevato da Il diario di Anna Frank. Prendiamo quei collaboratori uno a uno: su Isa Cauvern non si può dire nulla, se non che si è suicidata gettandosi dalla finestra di casa nel giugno del 1946. Il signor Frank aveva appena firmato o stava per firmare ilcontratto per la pubblicazione de Il diario di Anna Frank con la casa editrice Contact. Il motivo di quel suicidio non ci è noto e al momento è impossibile stabilire un legame di qualche tipo tra quel suicidio e la faccenda de Il diario di Anna Frank. Per quanto riguarda l’autrice della prefazione, Anna Romein-Verschoor, nel 1959 ha dichiarato al Der Spiegel: “Non ero affatto abbastanza sospettosa” (“Ich bin wohl nicht misstrauisch genug gewesen”). Il marito non fu maggiormente sospettoso. Albert Cauvern non potè mai ottenere dal signor Frank la restituzione del testo dattiloscritto su cui aveva lavorato e che aveva richiesto “in memoria della moglie” che morì nel 1946. Il signor Frank non gli spedì il testo in questione. Kurt Baschwitz, un amico del signor Frank, era una delle “tre personalità eminenti” (le altre due erano il signor e la signora Romein); nel 1959 dovette implorare un “accordo” tra il signor Frank e Lothar Stielau. Raccomandò, d’altra parte, la pubblicazione integrale del testo dei manoscritti per risolvere la questione. Per sapere che cosa fosse il testo nella realtà, tale soluzione sarebbe stata, di fatto, la più idonea. Anneliese Schütz, da parte sua, ha manifestato di disapprovare sia il “mito di Anna Frank” che per l’atteggiamento del signor Frank nei confronti di Lothar Stielau; era invece a favore di una scelta per il silenzio: meno rumore possibile su Anna Frank e il suo diario. Si è spinta al punto di biasimare il signor Frank ed Ernst Schnabel per Spur eines Kindes: che bisogno c’era di quel libro? Per quanto concerne Stielau, se egli avesse pronunciato la frase per cui è stato criticato dal signor Frank, non avrebbe dovuto fare altro che fingere di non averlo sentito. La reazione “tagliente” (“scharff”) (ibidem) di Anneliese Schütz è tanto più curiosa se si considera che si è presentata come la “traduttrice” de Il diario di Anna Frank in tedesco e che Ernst Schnabel - forse senza saperlo - aveva spinto la sua cortesia fino al punto di dichiarare in merito a tale “traduzione” inverosimile: “Ich wünschte, alle Übersetzungen waren so getreu” (pagina 54) (”Magari tutte le traduzioni fossero così fedeli”). (*) (ndt) A Miep venne intimato di presentarsi al consolato tedesco, sembra per spiegare la sua mancata iscrizione all’associazione delle ragazze naziste. I nazisti le invalidarono il passaporto, concedendole 3 mesi per tornarsene a Vienna. Visto che questa disposizione sarebbe caduta se si fosse sposata con un olandese, Miep decise di sposare Henk. Per farlo però aveva bisogno del certificato di nascita depositato a Vienna. Chiese lumi allo zio, il signor Otto Frank, il quale le suggerì di spedire a Vienna, invece che il passaporto, solamente la fotocopia della prima pagina di esso dal momento che non mostrava che il passaporto era stato invalidato. Così fece, ottenendo il certificato di nascita; si sposò quindi con Henk. 56. Il ritorno ad Amsterdam per una nuova inchiesta: l’audizione dei testimoni si rivela sfavorevole al signor Otto Frank; la probabile verità. 57. La critica interna de Il diario di Anna Frank mi aveva indotto a pensare che si trattasse di una “favola che concilia il sonno”, un romanzo, una menzogna. Le indagini successive sono servite solamente a rafforzare quest’opinione. Benché mi rendessi conto chiaramente dove fosse la menzogna, non riuscivo a comprendere dove fosse la verità. Capivo infatti che la famiglia Frank non avrebbe potuto vivere per venticinque mesi al numero 263 di Prinsengracht nel modo sostenuto dai suoi membri; ma allora, come vissero nella realtà? Dove? Con chi? E, infine, il loro arresto ha avuto luogo effettivamente al numero 263 di Prinsengracht? 58. Senza illudermi sulla risposta che avrei ricevuto, ho posto queste domande a Kraler (il cui vero nome è Kugler) in una lettera che gli ho spedito in Canada, chiedendogli anche se avesse l’impressione che Anna fosse veramente l’autrice de Il diario di Anna Frank e come avrebbe potuto spiegarmi che Vossen (il cui vero nome è Voskuyl) credesse che i Frank fossero da qualche altra parte, per la precisione in Svizzera, e non al numero 263 di Prinsengracht. Mi ha risposto scortesemente, inviando inoltre sia la mia lettera che la sua risposta al signor Frank. Si tratta di quella lettera che il signor Frank, nel corso di una conversazione telefonica, ha chiamato “idiota.” Suppongo sia stata questa risposta che un anno dopo valse a A Kraler a un premio di diecimila dollari assegnatogli da un’istituzione per aver “protetto Anna Frank e famiglia durante la guerra, ad Amsterdam” [4]. A prescindere dalla scortesia, la risposta di Kraler non mi è risultata priva di interesse. Kraler mi aveva risposto che il suggerimento di Vossen concernente la presenza dei Frank in Svizzera “è stato fatto per proteggere la famiglia che si nascondeva” (lettera del 14 aprile 1977). A proposito di Anna ha aggiunto: “C’erano anche altri giovani, anche più giovani di Anna, di grande talento.” Consideravo il primo punto di questa risposta preciso, ma incomprensibile, se ci si ricorda che Vossen, secondo la figlia, personalmente aveva l’impressione che i Frank fossero in Svizzera. Per quanto riguarda il secondo punto della risposta, sorprendeva che l’immagine di un carattere stereotipato provenisse da qualcuno la cui unica difficoltà sarebbe dovuta essere quella di scegliere tra svariate risposte precise e convincenti. Kraler, come dato di fatto, si presume abbia vissuto per venticinque mesi in contatto quasi quotidiano con quella Anna Frank il cui “diario” era, a quanto pare, un segreto noto a tutti coloro che la conoscevano. 59. Ascoltando Elli il 30 novembre 1977 e poi Miep ed Henk il 2 dicembre 1977, sono rimasto colpito subito dall’impressione che queste tre persone non avevano affatto vissuto per venticinque mesi a contatto con i Frank e con le altre persone che si nascondevano in clandestinità nel modo in cui ci viene descritto ne Il diario di Anna Frank. Mi sono convinto, d’altra parte, che Miep ed Elli fossero state almeno presenti al numero 263 di Prinsengracht il 4 agosto 1944, al momento dell’incursione della polizia. Mi risulta difficile spiegare altrimenti l’insistenza con cui Elli e Miep hanno evitato le mie domande su quei venticinque mesi, mentre d’altra parte sono tornate ripetutamente a parlare di quel 4 agosto 1944. Elli, che ho avuto molta difficoltà a rintracciare, non si aspettava né la mia visita, né il tipo di domande dettagliate che le ho chiesto; Miep ed Henk invece si aspettavano la mia visita e sapevano che mi ero incontrato con il signor Frank. Le mie domande erano brevi, in numero limitato, e, ad eccezione di qualche caso, non ho segnalato ai miei testimoni né le loro contraddizioni reciproche, né quelle incompatibili con quanto riportato ne Il diario di Anna Frank. Elli, piena di buona volontà, mi sembrava ricordasse bene gli anni della guerra e gli eventi minori della sua vita quotidiana in quei giorni (aveva 23 anni nel 1944); per quanto riguarda però quei venticinque mesi, le sue risposte alle mie domande erano in generale: “Non lo so... Non ricordo... Non sono in grado di spiegarglielo...” “Il deposito di carbone? Era nella stanza di Van Daans.” “Le ceneri? Immagino che gli uomini le portassero giù.” “La guardia notturno Slagter? Non ne ho mai sentito parlare; dopo la guerra, abbiamo avuto una segretaria con quel cognome.” “Lewin? Non ci ho mai avuto nulla a che fare.” “Lo «scaffale girevole»? Ha ragione, era inutile, ma è stato una mimetizzazione per gli estranei.” Ho chiesto a Elli di descrivermi prima la parte anteriore della casa e poi l’annesso. Nel caso della parte anteriore della casa è stata in grado di darmi qualche dettaglio; è vero che lì ci ha lavorato. Nel caso dell’annesso, la sua risposta è stata interessante. Mi ha dichiarato di avervi trascorso, tutto sommato, una sola notte, e fu prima dell’arrivo degli otto clandestini! Ha aggiunto di non ricordate che com’era fatto l’edificio perché [quella notte trascorsa prima dell’arrivo dei clandestini] era molto nervosa. Da Il diario di Anna Frank però risulterebbe che Elli avesse pranzato con i clandestini quasi ogni giorno (cfr. 5 agosto 1943: Elli arriva regolarmente di giorno alle 12:45; 20 agosto 1943: Elli arriva regolarmente alle 5:30 pomeridiane ad “annunciarci la libertà”; 2 marzo 1944: Elli fa i piatti con le madri delle due famiglie...). In conclusione, ho chiesto a Elli di menzionarmi un qualsiasi dettaglio della vita familiare, un aneddoto che non fosse presente nel libro. Al riguardo però si è mostrata totalmente incapace. 60. Miep ed Henk sono stati ugualmente incapaci di fornire il benché minimo dettaglio sulla vita dei clandestini. La frase più importante della loro testimonianza è stata la seguente: “Non sapevamo esattamente come vivevano.” E inoltre: “Siamo stati nell’annesso solamente per un fine settimana; abbiamo dormito in quella che successivamente sarebbe stata la stanza di Anna e Dussel.” “Come si scaldavano i clandestini? Forse con il gas.” “Il deposito di carbone sotto, nel magazzino.” “Non c’era nessun aspirapolvere.” “Il verduriere non ha mai portato nulla a Prinsengracht.” “Lo «scaffale girevole» era stato costruito ben prima che arrivassero i Frank” (!) “Io, Miep, portavo le verdure mentre Elli portava il latte.” “Io, Henk, lavoravo ovunque tranne che nella ditta, ma andavo ogni giorno a pranzare nell’ufficio delle ragazze, con le quali parlavo per quindici o venti minuti.” (Questo punto, tra gli altri, è in piena contraddizione con quanto riportato da Il diario di Anna Frank in cui si dice che Henk, Miep, e Elli si portavano il pranzo nell’annesso, assieme ai clandestini; vedere il 5 agosto 1943.) Per tutta la durata del nostro colloquio, Miep mi ha dato l’impressione di essere quasi in agonia; mi evitava con lo sguardo. Quando finalmente l’ho lasciata parlare del 4 agosto 1944, il suo atteggiamento, improvvisamente, è cambiato completamente. Con evidente piacere ha cominciato a evocare, con una grande abbondanza di dettagli, l’arrivo della polizia e ciò che ne è risultato. Ho notato, tuttavia, una palese sproporzione nei dettagli nel suo resoconto. I dettagli forniti da Miep erano numerosi, vividi, e chiaramente veritieri quando richiamava alla mente quello che le era successo personalmente alla presenza di Silberbauer, l’ufficiale austriaco che aveva effettuato l’arresto, sia quel giorno che nei giorni seguenti. Quando però si trattava dei Frank e dei loro compagni di sventura, i dettagli diventavano scarsi e poco chiari: Miep non aveva visto nulla dell’arresto dei clandestini, non li aveva visti andare via, né salire a bordo del veicolo della polizia, che aveva visto attraverso dalla finestra del suo ufficio, poiché “troppo vicino al muro della casa.” Henk, dall’altra sponda del canale, aveva visto da lontano la vettura della polizia, senza però essere in grado di riconoscere le persone che vi entravano o vi uscivano. Per quanto riguarda i manoscritti, Miep mi ha ripetuto il resoconto che aveva fornito a Schnabel, dicendomi anche che il signor Frank, dopo il ritorno in Olanda alla fine del maggio 1945, ha vissuto per sette anni sotto il loro tetto. Fu solo verso la fine del giugno, o all’inizio del luglio, del 1945 che [Miep] gli ha consegnato il manoscritto. 61. A seguito di questi due colloqui sono giunto alla seguente opinione: “Queste tre persone devono avermi detto, nel complesso, la verità sulla loro vita. Probabilmente è vero che praticamente non conoscevano l’annesso, e certamente è vero che, nella parte anteriore della casa, la vita trascorreva approssimativamente come me l’avevano raccontata (il pranzo veniva consumato insieme presso l’ufficio delle segretarie, i garzoni del magazzi mangiavano nel magazzino; le piccole minori per il cibo erano fatte nel quartiere, ecc.). È certamente vero che la polizia ha effettuato un’incursione il 4 agosto 1944 e che in quel giorno e nei giorni successivi Miep, ha avuto a che fare con un Karl Silberbauer. È probabile, d’altra parte, che queste tre persone abbiano mantenuto alcuni rapporti con la famiglia Frank. In tal caso, perché erano così visibilmente reticenti nel parlarne? Supponiamo per ipotesi che i Frank e le altre persone in clandestinità avessero vissuto realmente per venticinque mesi in prossimità di queste tre persone, nel tal caso, quale sarebbe stato il motivo di questo silenzio?” 62. La risposta a questi interrogativi potrebbe essere la seguente: i Frank e, forse, qualche altro ebreo potrebbero essere vissuti effettivamente nell’annesso del numero civico 263 di Prinsengracht. Sarebbero vissuti però in modo molto differente da quello riferito da Il diario di Anna Frank, ad esempio, in modo senza dubbio prudente, ma non come se fossero stati in una prigione; sarebbero stati in grado di vivere come hanno fatto tanti altri ebrei che si nascondevano o in città, o in campagna. “Si nascondevano senza nascondersi.” La loro avventura sarebbe stata qualcosa di tristemente banale. Non avrebbe avuto quel carattere rocambolesco, assurdo, e visibilmente menzognero che il signor Frank vorrebbe spacciare per una vita reale, autentica, e vissuta. Dopo la guerra, gli amici del signor Frank erano disposti a testimoniare in suo favore tanto quanto esitavano a farsi garanti del racconto narrato ne Il diario di Anna Frank. Tanto potevano offrirsi come garanti delle sofferenze reali del signor Frank e famiglia, quanto è sembrato loro difficile testimoniare, in aggiunta, a proposito di sofferenze immaginarie. Kraler, Koophuis, Miep, Elli, e Henk hanno dato prova di essere amici del signor Frank, mostrando pubblicamente la loro compassione per lui come un simpaticone che era, al tempo stesso, sopraffatto dalle disgrazie. Forse si sono sentiti lusingati dall’essere presentati dalla stampa come i compagni di quei suoi giorni di sventura; forse alcuni di loro hanno accettato l’idea che, quando un uomo ha sofferto, ha il diritto morale di esagerare un po’ la storia delle proprie sofferenze. Agli occhi di alcuni di loro, il punto principale potrebbe essere stato che il signor Frank e famiglia avevano sofferto crudelmente per mano dei tedeschi: in tal caso poco importavano i “dettagli” di quelle sofferenze. La cortesia comunque ha i suoi limiti e il signor Frank aveva trovato una sola persona che garantisse il suo resoconto dell’esistenza de Il diario di Anna Frank; si trattava della sua ex-segretaria e amica: Miep Van Santen (il cui vero nome è Miep Gies). Ciononostante la testimonianza di Miep è stranamente esitante; ella ritorna sui momenti successivi l’arresto dei Frank, affermando di aver raccolto dal pavimento di una stanza dell’annesso un diario, un registro contabile, alcuni quaderni, e un certo numero di fogli sciolti. Per lei erano oggetti appartenuti ad Anna Frank. Miep ha reso questa testimonianza in forma ufficiale solo trenta anni dopo quegli eventi, il 5 giugno 1974, presso l’ufficio del signor Jacob Dragt Antoun, un notaio di Amsterdam. Miep ha aggiunto di aver fatto quella scoperta insieme a Elli. Quello stesso giorno però, alla presenza dello stesso notaio, quest’ultima ha dichiarato di ricordare di essere stata là al momento del ritrovamento di quegli scritti ma di non sapere più esattamente come vennero scoperti. Questa limitazione è importante e non é risultata gradita al signor Frank. 63. Schnabel ha scritto (vedere sopra alla sezione 50) che tutti i “testimoni” che aveva interrogato - tra cui, quindi, Miep, Elli, Henk, e Koophuis - si erano comportati “come se dovessero proteggersi dalla leggenda [di Anna Frank]”. Ha aggiunto che anche se magari tutti loro avessero letto Il diario di Anna Frank, nessuno tuttavia lo menzionava. Quest’ultima frase significa ovviamente che, in tutti colloqui con i testimoni, è stato lo stesso Schnabel che ha dovuto prendere l’iniziativa perché si parlasse de Il diario di Anna Frank. Sappiamo che il suo libro non è stato pubblicato, se non in forma abbreviata e censurata, in Olanda, nella nazione quindi in cui risiedevano i principali “testimoni.” Anche l’articolo del Der Spiegel (vedere sopra alla sezione 55) dimostra che gli altri “testimoni” del signor Frank sono finiti per avere le stesse reazioni negative. Le basi del mito di Anna Frank - un mito che si basa sulla veridicità e sull’autenticità de Il diario di Anna Frank - non si sono rafforzate con il tempo: si sono sbriciolate. 64. Chi ha “denunciato” e chi ha arrestato i Frank: perché il signor Frank ha
voluto assicurare loro l’anonimato? 72. Un
confronto tra il testo in olandese e quello in tedesco: il
signor Otto Frank, nel tentativo di strafare, si è
smascherato, firmando così un falso letterario. a) Lettere in eccesso presenti nel testo
T:
[Errore da parte mia (R. Faurisson): La lettera del 12 maggio 1944 (380 parole) non è assente nel testo O, ma presente sotto la data 11 maggio 1944. Quella che manca nel testo O è la lettera del 11 maggio 1944, lunga... 520 parole!] b) Lettere in difetto presenti nel
testo T:
c) Parole in eccesso nel testo
T per le lettere in
comune:
In realtà, come si vedrà nel seguito, questo
numero rappresenta solamente una piccola parte delle parole in
eccesso presenti nel testo T. Nel frattempo tuttavia, per non
sembrare troppo attaccato ai calcoli, darò qualche esempio
specifico che riguarda circa 550 parole.
81. Tra le voci corrispondenti alle lettere in comune ai testi O e T, eccone alcune (tra le altre) in cui nel testo T manca qualche frammento presente però nel testo O e cioè qualche frammento ignoto al lettore tedesco:
Un fatto notevole è che i frammenti mancanti
sono molto numerosi e molto brevi. Per esempio, nella lettera del
20 agosto 1943 presente nel testo T sono state tagliate 19 parole,
distribuite come segue: 3 + 1 + 4 + 4 + 7 = 19.
85. Penso che sia
inutile proseguire con una lista del genere; non si esagera dicendo
che la prima voce del gruppo di lettere che abbiamo segnalato ci
dà in qualche modo il senso del tutto. In questa breve
lettera, gli olandesi vengono a sapere che Anna, per il suo
compleanno, ha ricevuto “una piantina”
(“een
plantje”), mentre i tedeschi hanno il privilegio di
venire a sapere che quella pianta era “un cactus”
(“eine
Kaktee”). In cambio, gli olandesi vengono a sapere che
Anna ha ricevuto “due rami di peonie,” mentre i
tedeschi si devono accontentare di sapere che si trattava di
“qualche ramo di peonie” (“einige Zweige Pfingstrosen”).
Gli olandesi hanno il diritto alla seguente frase: “ecco i
figli di Flora che stavano sulla mia tavola quella mattina”
(“dat waren die ochtend de
kinderen van Flora, die op mijn tafel stonden”). Nel
testo in tedesco la tavola è scomparsa, così come
“i figli di Flora” (una curiosa “frase
fatta” dalla penna di una bambina di tredici anni; qualcosa che ci
si aspetterebbe piuttosto da un adulto che cerca di
“abbellire con decorazioni floreali” lo stile in modo
laborioso e ingenuo). I tedeschi hanno semplicemente il diritto a:
“Questi erano, per cominciare, i fiori offerti per
congratularsi con me” (“Das waren die ersten
Blumengrüsse”). Gli olandesi vengono a sapere che
quel giorno Anna offrirà agli insegnanti e ai compagni di
classe “biscottini al burro” (“boterkoekjes”), mentre i
tedeschi hanno il diritto di sapere che si trattava di
“dolci” (“Bonbons”). La
“cioccolata” presente per gli olandesi scompare per i
tedeschi. Più sorprendente è un libro acquistato la
domenica del 14 giugno 1942 da Anna con un po’ di
denaro appena ricevuto e che nel testo tedesco diventa un libro che
Anna si era già comprata (“zodat ik me (...) kan kopen” / “habe ich mir (...) gekauft”).
88. Questi ultimi
cambiamenti vennero effettuati da un testo tedesco a un altro testo
tedesco. Non ci sono scuse di traduzioni maldestre o fantasiose.
Dimostrano che l’autore de Il diario di Anna
Frank – il termine che uso solitamente per il
responsabile del testo che sto leggendo – era ancora
vivo nel 1955. Allo stesso modo, leggendo il testo tedesco
del 1950 (edizione Lambert
Schneider), ho scoperto che l’autore de Il
diario di Anna Frank (un autore particolarmente prolifico) era
ancora vivo nel 1950. Quell’autore non poteva essere
Anna Frank, che, come sappiamo, è morta nel 1945. Tabella della cronologia (“ufficiale”) delle forme successive del Il diario di Anna Frank
Si può ovviamente affermare che forse il testo (V)
è solamente una ripulitura molto fedele del testo (IV). Lo
stesso dicasi per il testo (VII) in relazione al testo (VI).
Ciò supporrebbe che il signor Frank, che ha rielaborato quel
testo continuamente, abbia smesso di farlo improvvisamente al
momento di ricopiare il testo (IV) senza nessun testimone e al
momento della probabile correzione delle bozze per la stampa nel
caso del testo (VII). Personalmente ritengo che queste nove
costituiscano il minimo delle versioni esistenti a cui è
necessario in effetti aggiungere una, due, o tre
“Abschrift”
per il testo (VIII). 30 agosto 1978
[2] Ernst Schnabel, Anne Frank, Spur eines Kindes, Francfort, Fischer Bücherei, 1958, pagina 115. [3] E. Schnabel, Anne Frank: A portrait in Courage, New York, Harcourt, Brace and World, 1958, pagina 132. [4] Vedere Hamburger Abendblatt, 6 giugno 1978, pagina 13. [5] Volkskrant (Amsterdam), 21 novembre 1963. [6] 6 dicembre 1963, pagina 10. [7] E. Schnabel, Anne Frank, Spur eines Kindes, pagina 39. [8] Questa stima del 1978 non ha molto senso; le manipolazioni sono a livello endemico e quantificarle con i numeri è illusorio. (Nota per l’edizione del 1980) [nda]. [9] Vedere Ecrits révisionnistes (1974-1978) volume III, p. 1161. [10] Michel Borwicz, “Journaux publiés à titre posthume”, Revue d’histoire de la Deuxième Guerre Mondiale, gennaio 1962, pagina 93. ![]() (*) Riguardo I protocolli dei savi anziani di Sion è opportuno distinguere tra la loro autenticità e la loro veridicità; un’analisi della loro genesi spiega come il fatto che non siano un falso non implichi che non siano veritieri; gli eventi storici successivi la loro pubblicazione del resto ne confermano la veridicità, ndt. Nota dell’editore francese (1980) Il rapporto che leggerete non era destinato alla pubblicazione; per il Professor Faurisson, costituiva solamente un pezzo, tra gli altri, di un lavoro che intendeva dedicare a Il diario di Anna Frank. Lo pubblichiamo oggi – nonostante le reticenze dell’autore che, da parte sua, sperava nella pubblicazione di un lavoro molto più esteso che includesse alcuni elementi su cui sta ancora lavorando – dato che la stampa francese e quella straniera hanno sollevato un polverone a proposito dell’opinione del professore su Il diario di Anna Frank. Il pubblico stesso potrebbe sentire la necessità di giudicare questi passi. Abbiamo voluto quindi mettere a disposizione del pubblico la parte essenziale di questi passi; potrete così giudicare da voi le metodologie di lavoro di Faurisson e i risultati a cui è pervenuto nell’agosto 1978. Questo rapporto, esattamente nella forma (*) in cui lo pubblichiamo, ha già un’esistenza ufficiale. Nell’agosto 1978 venne spedito, tradotto in tedesco, all’avvocato Jürgen Rieger perché venisse presentato come prova in un tribunale di Amburgo. Il signor Rieger era e rimane tuttora il difensore di Ernst Remer, finito sotto processo per aver espresso pubblicamente dubbi sull’autenticità de Il diario di Anna Frank. Il tribunale, dopo aver ascoltato le parti in causa e aver iniziato a esaminare le basi della controversia, ha deciso, sorprendendo tutti, di rinviare qualsiasi nuova seduta sine die. La stampa, seguendo una prassi usuale, dal momento in cui il processo è iniziato ha dettato al tribunale la condotta da seguire. Il partito socialdemocratico del cancelliere Helmut Schmidt ha preso parte alla battaglia in prima linea e in una lettera lunga e vigorosa ha preso una posizione in favore del signor Frank. Per questo partito politico, il verdetto su questa causa era stato pronunciato in anticipo e l’autenticità de Il diario di Anna Frank era stata dimostrata da molto tempo. Il tribunale in questione, nonostante gli sforzi del signor Rieger di far riprendere il processo un’altra volta, non ha mai emesso una sentenza. La stampa tedesca ha deplorato il fatto che il signor Otto Frank abbia dovuto aspettare ulteriormente prima che “fosse fatta giustizia.” Ciò nonostante, il rifiuto di esprimere un giudizio costituisce un progresso. In un caso simile, il Professor Faurisson ha stilato un rapporto di cinque pagine che riassumeva i suoi studi e le sue conclusioni sulle “camere a gas.” Questa sua dichiarazione venne firmata e la firma fu autenticata. Il Professore si era spinto fino a citare il testo della gazzetta ufficiale della repubblica francese che stabilisce che l’autenticazione di una firma in Francia è riconosciuta valida nella Germania Occidentale. Uno sforzo sprecato: tra le motivazioni presentate per la condanna, il tribunale ha decretato che “Faurisson” era solamente uno pseudonimo. Per questo stesso motivo venne rifiutata la testimonianza del Professore statunitense Arthur R. Butz. La giustizia è uguale per tutti, salvo exceptio diabolica. (*) Nota dell’autore (16 maggio 2010): Con una sola eccezione. Nella relazione iniziale è incluso l’allegato n°3 costituito dall’attestazione di un professore universitario, Michel Le Guern, rinomato per la sua competenza in materia di critica testuale. L’ultima frase della sua attestazione è la seguente: “Certamente le convenzioni della letteratura autorizzano il signor Frank, o chiunque altro, a costruire, molti personaggi immaginari di Anna Frank a suo piacimento a condizione però che non pretenda di identificare di questi personaggi immaginari con la persona di sua figlia.” Tutte le pagine della mia relazione riportano la firma o le iniziali di M. Le Guern. Altri due professori, Frédéric Deloffre e Jacques Rougeot, stavano arrivare a conclusioni sulla stessa linea, quando sulla stampa nel novembre del 1978 è esploso improvvisamente il “caso Faurisson.” Resi prudenti, questi professori hanno preferito astenersi. Per ulteriori dettagli consultare il poscritto riportato qui sotto e datato 1° aprile 2003. Questa relazione, destinato espressamente a un tribunale, è accompagnato da tre appendici. La prima consiste di quattordici fotografie [riprodotte qui sotto a seguito della sezione 103 della mia analisi]. La seconda contiene, sigillata, l’identità del testimone del caso di Karl Silberbauer (sezione 68 della relazione) e l’identità del mio accompagnatore; oggi sono in grado di rivelare che il testimone era la vedova di K. Silberbauer e che il mio compagno era Ernst Wilmersdorf, entrambi di Vienna (Austria). [R. Faurisson,
Écrits
révisionnistes, tome I, 1974-1983]
Alle pagine 117-119 dell’edizione di R.I.O.D., David Barnouw esterna la pretesa di riassumere ciò che vuole chiamare la mia perizia. Lo fa non senza insinuare che io sia un imbroglione. Di tutti i miei argomenti di carattere materiale o fisico, ne prende in considerazione uno solo, quello dei rumori. Poi, di tutti i rumori, ne considera solamente tre e sostiene che in tutti e tre i casi avrei nascosto il fatto che Anna Frank aveva detto che i “nemici” non erano lì, e quindi non si correva il rischio che questi rumori fossero uditi. La mia risposta è che anche se magari non ci fossero stati “nemici” nelle vicinanze (per esempio, entrambi i magazzinieri), ma gli altri “nemici,” presenti in numero indefinito, avrebbero potuto udire quei rumori, quali quello dell’aspirapolvere che veniva passato tutti i giorni alle 12:30 pomeridiane, la “fragorosa risata,” o il “fracasso da giudizio universale.” D. Barnouw ha grandissime difficoltà a spiegare questi e una miriade di altri suoni, a volte spaventosi, in una casa dove avrebbe dovuto regnare un silenzio tombale. Inoltre, per risparmiarsi lo sforzo intellettuale, ha cercato un sotterfugio ricorrendo a considerazioni vaghe e oscure. In effetti scrive: Il diario racconta che gli abitanti
dell’annesso, anche loro, correvano molti rischi, soprattutto
quella di essere uditi da altri se avessero fatto troppo
rumore. Faurisson tuttavia non ha cercato di capire meglio la
situazione complessiva della clandestinità in quanto tale, e
in questo contesto, non è preoccupato per nulla del fatto
che la famiglia Frank e i suoi compagni di clandestinità
sono finiti per farsi arrestare (pagina 117).
D. Barnouw esprime lì un pathos che gli permette di concludere sfacciatamente: “Non è necessario, considerato quanto precede, sottoporre a un esame critico ciascuno dei punti citati da Faurisson” (p. 118). Per parte mia, trovo che questa ultima osservazione dimostri che le responsabilità del R.I.O.D. non hanno, per loro stessa ammissione, “sottoposto a un esame critico” una parte essenziale della mia perizia, quella relativa alle impossibilità fisiche o materiali della narrazione. C’è un altro punto dove D. Barnouw insinua che io sia disonesto. A pagina 261 del libro di Serge Thion, ho detto di aver scoperto un testimone interessante durante la mia inchiesta sulle circostanze dell’arresto degli otto clandestini il 4 agosto 1944 ad Amsterdam. Ho scritto: Quel testimone [nel 1978]
scongiurò, me e il mio accompagnatore di non rivelare il suo
nome. Ho promesso di non dire nulla a proposito del suo nome, ma
terrò la mia promessa solo a metà. L’importanza
della sua testimonianza è tale che mi sembra impossibile
passarla sotto silenzio. Il nome di questo testimone e il suo
indirizzo, nonché il nome del mio accompagnatore e il suo
indirizzo sono stati scritti in una busta sigillata riportata
nell’appendice n°2: “Riservato” [da
presentare al tribunale di alla corte di Amburgo].
D. Barnouw inizia citando queste righe, ma non senza eliminare la frase che rivela il motivo della mia discrezione, ovvero che il testimone ci “scongiurò” - era proprio questa la parola che usò - di non nominare. Lo stesso D. Barnouw poi aggiunge perfidamente: Una fotografia di questa busta
sigillata, è riprodotta nell’appendice
dell’indagine di Faurisson nella versione francese
del 1980 [quella del libro di S. Thion]; saggiamente
l’editore della versione olandese ha rinunciato a produrre
questo pezzo di prova (pagina 119).
In altre parole, D. Barnouw fa credere al lettore che la mia busta in verità non contenesse nessun nome e che con questo presunto stratagemma mi sarei preso gioco del lettore. Per D. Barnouw, quella busta non era mai esistito o era vuota. La verità era che avevo davvero consegnato al tribunale di Amburgo una busta contenente i nomi e gli indirizzi del mio testimone e il mio accompagnatore. Oggi, a 22 anni di distanza, mi sento autorizzato a rivelare i nomi noti al tribunale: si tratta della vedova di Karl Silberbauer e di Ernst Wilmersdorf, entrambi residenti a Vienna. Colgo l’occasione per rivelare anche i nomi di tre professori universitari francesi che a pagina 299 del libro di S. Thion viene detto che approvano la mia analisi del presunto diario di Anna Frank. Il primo non era altri che Michel Le Guern, che a quel tempo insegnava all’Università di Lione-2 e che ha appena pubblicato sulla prestigiosa Bibliothèque de la Pléiade una edizione critica dei Pensieri di Pascal; non si può immaginare una responsabilità maggiore in materia di critica testuale. Nel 1978, nell’ultima frase della sua dichiarazione, scrisse: Certamente le convenzioni della
letteratura autorizzano il signor Frank, o chiunque altro, a
costruire, come tutti i personaggi immaginari di Anna Frank che
vuole, a condizione però che non identifichi questi
personaggi inventati con la persona di sua figlia.
Altri due professori universitari stavano per giungere a conclusioni simili, quando improvvisamente nel novembre 1978 nella stampa è esploso, il “caso Faurisson.” Si tratta di due professori della Sorbonne (Università di Parigi-4): Federico e Jacques Deloffre Rougeot. Questi tre uomini sono ora in pensione; ecco perché ho deciso di rivelare i loro nomi. Non avevo preso, inoltre, nessun impegno di discrezione nei loro confronti. |